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La domanda sorge spontanea: avere un cane contribuisce a
peggiorare la nostra impronta ambientale? La risposta è certamente sì: cani,
gatti e altri animali domestici rinforzano il mercato degli allevamenti
intensivi, mangiando prevalentemente carne, necessitano (spesso) di tutta una
serie di gadget e prodotti che vanno dai giochi alle cucce, dai farmaci agli
antiparassitari, vengono trasportati, lavati curati e pettinati in modo molto
simile agli esseri umani e tutto questo ha un forte impatto, visti i numeri.
L’esercito dei pets
L’ottava edizione del dossier “Animali in città” presentato qualche giorno fa a Napoli da Legambiente, dice sostanzialmente che non sappiamo quanti sono, ma che sono tantissimi: i cani ad esempio sono un numero indefinito tra 11 e 27 milioni. I gatti sicuramente di più, e per loro si pone anche il problema di un altro tipo di impatto: il loro numero è aumentato a dismisura grazie all’amore dell’uomo e, da terribili predatori quali sono, sono veri killer di piccoli mammiferi e di uccelli. Per questo motivo l’Australia, ma anche la Nuova Zelanda, ha addirittura messo una taglia sui mici selvatici, a difesa della fragile biodiversità del Paese.
Una scelta sana?
Molte persone
si domandano quindi come poter ridurre l’impatto dei propri animali, a partire
dalla dieta: mentre si diventa vegani o vegetariani per motivi ambientali, è
naturale domandarsi se la stessa opzione etica possa andare bene anche per i
migliori amici dell’uomo. A detta di chi ci ha provato, ci sono solo vantaggi: cani più sani e
più belli, che vivono più a lungo e sono meno aggressivi.
….continua